Giuseppe Bottai | |
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Giuseppe Bottai nel 1937 | |
Ministro dell'educazione nazionale | |
Durata mandato | 15 novembre 1936 – 6 febbraio 1943 |
Predecessore | Cesare Maria De Vecchi |
Successore | Carlo Alberto Biggini |
Ministro delle corporazioni | |
Durata mandato | 12 settembre 1929 – 20 luglio 1932 |
Predecessore | Benito Mussolini |
Successore | Benito Mussolini |
Sottosegretario di Stato al Ministero delle corporazioni | |
Durata mandato | 6 novembre 1926 – 12 settembre 1929 |
Predecessore | Giacomo Suardo |
Successore | Emanuele Trigona |
Governatore di Roma | |
Durata mandato | 24 gennaio 1935 – 15 novembre 1936 |
Predecessore | Francesco Boncompagni Ludovisi |
Successore | Piero Colonna |
Governatore di Addis Abeba | |
Durata mandato | 5 maggio 1936 – 27 maggio 1936 |
Predecessore | carica istituita |
Successore | Alfredo Siniscalchi |
Presidente dell'Istituto nazionale della previdenza sociale | |
Durata mandato | 1933 – 23 gennaio 1935 |
Predecessore | carica istituita |
Successore | Bruno Biagi |
Deputato del Regno d'Italia | |
Legislatura | XXVI, XXVII, XXVIII, XXIX |
Sito istituzionale | |
Consigliere nazionale del Regno d'Italia | |
Legislatura | XXX |
Gruppo parlamentare | Membri del Governo nazionale Membri del Consiglio nazionale del PNF |
Dati generali | |
Partito politico | Partito Politico Futurista Partito Nazionale Fascista |
Titolo di studio | Laurea in Giurisprudenza |
Università | Sapienza - Università di Roma |
Professione | politico, docente universitario |
Giuseppe Bottai | |
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Bottai in divisa della legione straniera francese | |
Nascita | Roma, 3 settembre 1895 |
Morte | Roma, 9 gennaio 1959 |
Religione | Cattolicesimo |
Dati militari | |
Paese servito | Italia Francia |
Forza armata | Regio esercito MVSN Armée de terre |
Arma | Fanteria |
Corpo | Legione straniera francese |
Specialità | Arditi |
Anni di servizio | 1915 - 1918 1936 - 1938 1941 - 1942 1944 - 1948 |
Grado | Maggiore (Regio Esercito Italiano) Sergente (Legione straniera francese) |
Guerre | Prima guerra mondiale Guerra d'Etiopia Seconda guerra mondiale |
Campagne | Fronte italiano Fronte occidentale |
Battaglie | Battaglie dell'Isonzo Battaglia di Caporetto Battaglia di Vittorio Veneto |
Decorazioni | Medaglia d'oro al valor militare |
Altre cariche | Politico |
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Giuseppe Bottai (Roma, 3 settembre 1895 – Roma, 9 gennaio 1959) è stato un politico, militare e giornalista italiano.
Fu governatore di Roma, governatore di Addis Abeba, ministro delle corporazioni e ministro dell'educazione nazionale.
Giuseppe Bottai nasce a Roma nel 1895. Il padre, Luigi Bottai, è toscano di Monsummano, commerciante in vini, ateo e repubblicano; la madre, Elena Cortesia, è di origini liguri. Conseguita la maturità al Liceo Tasso, si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza della Sapienza - Università di Roma, interrompendo gli studi in seguito allo scoppio della prima guerra mondiale e all'arruolamento volontario, come soldato semplice prima e come ufficiale degli arditi poi. In seguito al ferimento è decorato con medaglia di bronzo al valor militare[1].
Fece parte della Serenissima Gran Loggia di Rito scozzese antico ed accettato[2]. Ma in realtà egli non era intimamente massone e se ne allontanò: infatti era stato il padre ad appartenere a una corrente filosofica agnostica, atea e repubblicana. Giuseppe Bottai, pertanto, viene battezzato segretamente da una balia e riuscirà a fare la Prima Comunione solo da adulto. Contrariato dalla filosofia anticlericale del padre, si avvicinò gradualmente al cattolicesimo; maturerà, come egli stesso ha scritto nel suo "Diario", una convinta e definitiva conversione alla fede cattolica, che non ostentò mai, a seguito della débâcle politico-militare dell'Italia e del fascismo, in età matura.
Nel dopoguerra, tornato in Italia, ritrovò vecchie e vere amicizie, tra le quali don Giuseppe De Luca, consigliere assai stimato di Giovanni XXIII: il sacerdote lo invitava spesso a colazione e lo faceva incontrare con personalità di quel periodo. Quando Bottai morì, sulla sua salma pregava il cardinale Giuseppe Pizzardo.
Nel 1919, al termine del primo conflitto mondiale, Bottai, già attivo nel movimento futurista[3], incontra Benito Mussolini e collabora alla fondazione dei Fasci italiani di combattimento di Roma. Nel 1921, dopo la laurea in Giurisprudenza, dirige la redazione romana de Il Popolo d'Italia. Nello stesso anno pubblica la silloge Non c'è un paese, dove raccoglie le poesie da lui scritte negli anni precedenti, di tono crepuscolare e futurista. Con Ulisse Igliori e Gino Calza-Bini, è uno dei capi dello squadrismo romano: peraltro, è tra i pochissimi fascisti di primo piano che nell'estate del 1921 si pronunciano a favore del "patto di pacificazione" stipulato da Mussolini con i socialisti e destinato a divenire di lì a poco lettera morta proprio per l'opposizione della compagine intransigente delle squadre d'azione. Si unisce anche brevemente ai legionari di D'Annunzio nell'impresa di Fiume.
Nel 1921 è eletto, nelle file del Partito Nazionale Fascista, alla Camera dei deputati, da cui decade nel 1922 a causa della troppo giovane età. Il 28 ottobre di quello stesso anno partecipa alla marcia su Roma. Nel 1923 fonda la rivista quindicinale Critica fascista, apprezzata da Benito Mussolini, che era consapevole che il partito doveva cambiare sotto certi aspetti. Inoltre lo stesso Benito Mussolini ammirava molto il pensiero di Bottai. Rieletto nel 1924 alla Camera, vi siede ininterrottamente (dal 1939 Camera dei fasci e delle corporazioni) fino al 1943.
Dal 1926 al 1929 è sottosegretario al Ministero delle corporazioni[4], di cui assume la titolarità nel 1929, subentrando allo stesso Mussolini e restando ministro fino al 1932.
In questo periodo emana la Carta del Lavoro e ottiene la cattedra di diritto corporativo all'Università La Sapienza di Roma[5]. Nel 1932 Mussolini decide di estrometterlo dalla carica di ministro delle Corporazioni.
Dal 1932 al 1935 assume quindi la presidenza dell'Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale. Dal 1935 è governatore di Roma, e nel maggio del 1936 è, per poco meno di un mese, anche governatore di Addis Abeba.
Nel 1935, quando ricopre la carica di governatore di Roma, Bottai parte volontario in Africa orientale con la divisione Sila, con il grado di maggiore di fanteria. Entrato in Addis Abeba il 5 maggio 1936, con la colonna del Maresciallo Badoglio, ne viene nominato in quello stesso giorno governatore, a simboleggiare l'unione ideale tra la capitale del Regno e la nuova capitale dell'impero. Non era ancora stata istituita la carica di Governatore generale dell'Africa Orientale Italiana e Viceré d'Etiopia, così che non le detenne ufficialmente. Il 27 maggio lascia la carica ad Alfredo Siniscalchi e torna in Italia per dedicarsi alla riforma scolastica.
Al rientro in Italia viene difatti nominato ministro dell'educazione nazionale, incarico che lascerà nel febbraio del 1943. Frutto di quest'ultima esperienza saranno "le leggi Bottai, che avranno una durata prolungata, pluridecennale (sia pure con alcuni adeguamenti costituzionali, dopo il 1948): sono la legge n. 1089 sul patrimonio storico-artistico e la n. 1497 sulle bellezze naturali. Come spesso fa il fascismo durante il ventennio, Giuseppe Bottai, colto ministro dell'educazione nazionale (con il quale collaborano due giovani storici dell'arte di formazione crociana, Giulio Carlo Argan e Cesare Brandi), incarica una commissione di giuristi di peso e fa loro riadattare quelle solide leggi prefasciste, perlopiù giolittiane, rendendole assai più centraliste senza però stravolgerle"[6].
Nel 1938 è tra i firmatari del Manifesto della razza, prodromo alla promulgazione delle leggi razziali dello stesso anno, nella quale Bottai si dimostrò animato "da un accanimento persecutorio maggiore di quello del duce"[7]. Nel Diario di Ciano del 6 ottobre 1938 si legge: «Gran Consiglio. Problema degli ebrei. Parlano in favore Balbo, De Bono e Federzoni. Gli altri, contro. Soprattutto Bottai che mi sorprende per la sua intransigenza. Si oppone a qualsiasi attenuazione dei provvedimenti.» Come ministro dell'educazione nazionale, infatti, Bottai sancisce, nell'autunno del 1938, la puntuale applicazione nella scuola italiana delle leggi razziali[8], con la conseguente espulsione degli studenti e dei professori ebrei[9].
Il 24 luglio 1943 aderisce insieme ad altri 19 gerarchi all'Ordine del giorno Grandi, una mozione che mette in minoranza Benito Mussolini (25 luglio 1943). A causa dell'adesione a tale mozione, Bottai sarà condannato a morte in contumacia al processo di Verona, nel 1944, da un Tribunale della neo-costituita Repubblica Sociale Italiana, assieme a Galeazzo Ciano, Dino Grandi (contumace), Emilio De Bono e altri.
Nel suo libro Vent'anni ed un giorno, in merito all'Ordine del giorno Grandi, scrive: "In un giorno solo assieme a Grandi provammo a porre rimedio a tutte le malefatte del regime post 1936. In un giorno solo provammo a rimediare al tradimento fatto dal Fascismo dopo il 1936 rispetto agli ideali rivoluzionario-sociali che spinsero tutti noi nel Fascismo degli anni '20".
Dopo la destituzione di Mussolini vive per alcuni mesi nascosto in un convento di Roma[10].
Nel 1944 si arruola con il consenso delle autorità politiche francesi, sotto il nome di Andrea Battaglia, nella Legione straniera francese di stanza in Algeria. Nelle file della Legione combatterà contro i tedeschi inquadrato nel 1º Reggimento di cavalleria con il grado di brigadier chef, dallo sbarco in Provenza fin nel cuore della Germania. Nella legione rimarrà fino al 1948, quando verrà congedato con il grado di sergente.
In merito alla decisione di arruolarsi con la Legione Straniera scrive: "Parto per espiare le mie colpe di non avere saputo fermare in tempo la degenerazione fascista".
Nel 1947 viene amnistiato per le imputazioni post-belliche connesse alla partecipazione avuta nella costituzione del regime fascista e che gli erano costate una condanna all'ergastolo, mentre la condanna a morte di Verona era divenuta ovviamente nulla con la dissoluzione della Repubblica Sociale Italiana.
Tornato in Italia, dal 1951 per un certo periodo dirige dietro le quinte "Il Popolo di Roma", un quotidiano finanziato da Vittorio Cini per fiancheggiare il centrismo DC. Nel 1953 fonda la rivista quindicinale di critica politica ABC, di cui sarà direttore fino alla morte.
Muore a Roma il 9 gennaio 1959 a 63 anni. Ai suoi affollati funerali a Roma sarà presente, tra le numerose autorità, il ministro della Pubblica Istruzione, allora in carica, Aldo Moro, amico di famiglia poiché suo padre, Renato, era stato tra i collaboratori di Bottai al ministero[11].
Bruno Bottai (Roma, 10 luglio 1930 - 2 novembre 2014), uno dei tre figli di Giuseppe Bottai, nel 1954 intraprende la carriera diplomatica. Sarà ambasciatore a Londra e presso la Santa Sede, segretario generale del Ministero degli Esteri e, fino alla morte, presidente della Società Dante Alighieri.
Pur nella sua posizione di gerarca, Bottai fu sempre un fascista critico nei confronti di alcuni aspetti del regime, come il cieco conformismo dottrinario e la censura[12].
Per Bottai il fascismo doveva trasformare lo Stato e la società italiana grazie alla sua carica sociale e modernizzatrice: ciò ebbe un riflesso nella disciplina dei rapporti di lavoro e nella politica culturale del ventennio.
Di fatto, con una qualche propria originalità dottrinaria Bottai espose, nel corso degli anni '20 dalle colonne della sua rivista, Critica Fascista, il suo concetto di "rivoluzione fascista", da lui intesa qual radicale superamento dello Stato liberale, verso un Regime organico, in sostanza affatto totalitario ma non "antimoderno": tendenza allora in contrasto, a livello di dialettica ma anche di prassi, con quella di cui si era fatto banditore Curzio Malaparte: interlocutore privilegiato del fascismo "selvaggio" -valorizzatore dello Squadrismo, che Bottai rinnega- proprio di un Mino Maccari, con il quale Malaparte solidarizza, per alcuni anni, assieme a Leo Longanesi, fondando con loro il movimento di Strapaese; mentre Bottai diverrà invece uno dei più persuasi promotori del Corporativismo: ciò che, molti anni dopo, il sociologo Camillo Pellizzi, già collaboratore de "Il Selvaggio"e "L'Italiano", definirà come "una rivoluzione mancata"; ai fatti, le singole corporazioni, per la determinazione di reali novità di formazione sociale, non ottennero alcuna autonomia, rispetto all'ordine di potere statale scandito dal Partito fascista con la sua totalitaria ideologia di dominio.
Sotto il primo profilo, la dottrina del corporativismo e la Carta del Lavoro, base della futura teoria della socializzazione dell'economia elaborata da Nicola Bombacci e altri nella RSI, furono esempi fondamentali dell'ideologia di Bottai e del suo operato.
Nel 1931 progetta di fare delle strutture universitarie pisane il polo nazionale del corporativismo[13] attraverso l'attivazione del Collegio Mussolini[14] e del Collegio Nazionale Medico, annessi alla Scuola Normale Superiore e oggi confluiti nella Scuola Superiore Sant'Anna.
Sotto il profilo culturale, la Carta della Scuola[15] è la sintesi del suo pensiero.
Lo stesso argomento in dettaglio: Liceo delle scienze umane § La Carta della Scuola (Riforma Bottai 1940-1943).
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A esso si ricollega sia il suo operato come ministro - risale al 1940 la riforma del sistema scolastico del Regno d'Italia, nota come Riforma Bottai - sia la sua attività editoriale, culminata nella fondazione della rivista quindicinale Primato.
Sempre aperto al dialogo con i giovani intellettuali in odor di "fronda", che esercitavano cioè un'opposizione al regime e che trovarono sulle pagine di Primato uno spazio di espressione e di dibattito, Bottai è noto per essere stato un fascista atipico (o «un fascista critico»)[12]: anche se non apertamente, sulla sua Rivista Critica Fascista, criticava la censura e il conformismo fascista.
Uno dei suoi intenti fu sempre quello di cercare di attirare i giovani al fascismo[16]. Scrive su Critica Fascista: "I giovani devono contestare tutto, devono distruggere per poi ricostruire tutto. Poco importa se tutto rimane come prima, soffocare quindi questa eversione dei giovani è impossibile. Bisogna quindi sapere cogliere il meglio da queste avanguardie culturali giovanili". La dialettica e la critica al fascismo normalizzato in regime con una carica rivoluzionaria minore delle origini, doveva venire dall'interno del fascismo stesso, rendendo essenziale l'apporto di giovani e intellettuali.
Per Bottai la rivoluzione fascista era incompiuta e il fascismo doveva restare "rivoluzione permanente".